a cura di Don Enzo Cortese

Commento alle Letture di Domenica 16 ottobre 2022

Es 17,8-13.
La preghiera di Mosè per la guerra agli Amaleciti è stata scelta per preparare l’esortazione del Vangelo a
pregare senza stancarsi mai. Va subito discusso l’accostamento tra la preghiera dell’AT e quella del Vangelo
odierno: d’una povera donna che, senza prendersela coi nemici, invoca giustizia. Gli Amaleciti sono una tribù di Edom (Gen. 36,12…), vicino meridionale di Israele e Giuda; quelli che più l’hanno ostacolato a cominciare dal viaggio mosaico verso la terra santa. Per questo in Deut 25,17ss. se ne auspica addirittura il genocidio; del resto la guerra là è regolata e benedetta (Deut 20). Possiamo ricordare che gli Amaleciti sono
rimasti a lungo un pericolo (Giud. 6s.) e che il primo re d’Israele, Saul, fu tolto e soppiantato da Samuele perché ha risparmiato gli Amaleciti (1Sam 15)! Anche il Sal 83 menziona gli Amaleciti tra i nemici contro cui pregare; un salmo che, a ragione o a torto, è stato tolto dalla liturgia cristiana e dal Breviario! Invece il NT dice di amare i nemici e pregare per loro (Lc 6,27s.): tutt’altra preghiera rispetto a quella di Mosè. Ma il
brano di Es 17 resta ancora un ammonimento, difficile, per noi. Le preghiere dei salmi sono sempre sulla
nostra bocca e non possiamo eliminarle. Vanno dette contro le forze del male, senza qualificare chi ne è lo
strumento: non giudicare per non essere giudicati (Mt 7,1s.). Vale anche nella nostra preghiera per la guerra in Ucraina. Senza scivolare negli schieramenti politici attuali, forse è stato più facile, con Papa Giovanni, Kennedy e Krushev, evitare la guerra atomica per il semplice fatto che allora non c’era Putin, il quale, dopo aver abbandonato l’ateismo di Stalin, ora fa la guerra con grandi segni di croce e la benedizione
del suo Patriarca Cirillo (la loro preghiera, si, che è uguale a quella di Mosè!).

Sal 120 (nella Bibbia 121)
Nel quinto ed ultimo libro dei salmi (inizia col Sal. 107), c’è la lunga raccolta “delle ascensioni” (120-134),
forse da recitare durante i pellegrinaggi dei gruppi a Gerusalemme. In questo Salmo siamo invitati a sentire
la protezione del Signore, personale, comunitaria e mondiale; un ottimo, dolce modo per liberarci, già
nell’AT, dalle preghiere bellicose.
2Tim 3,14-4,2
Dopo una pessimistica descrizione dei “tempi difficili” (3,1-9) in arrivo quando scompariranno le guide autorevoli degli Apostoli, riprendono gli ammonimenti al nuovo vescovo di Efeso, basati  ull’esempio dello stesso Paolo e dei suoi sacrifici, incluse le catene della prigionia finale. Un’altra base sono le Scritture,
imparate da Timoteo fin da bambino (3,15). Sono queste che bisogna annunciare! Col Concilio, da 70 anni si
continua a ripeterlo e, bisogna ammetterlo, molto s’è fatto per attuarlo. Io mi permetto però di lamentare
un ultimo ostacolo, paradossale. Dopo aver fatto in modo che tutti abbiano in mano una Bibbia, proprio per
divulgarla si cerca di non lasciarla usare! Per comodità al posto della Bibbia si forniscono i lezionari o i messalini, che ne sono solo un’antologia, molto ridotta. E siccome per la gente a messa anche questi sono scomodi, arrivano i foglietti. Le Paoline, dopo aver girato tutte le case a vendere le Bibbie, si son messe
subito a stampare i foglietti perché la gente non le leggesse! Si fanno anche letture bibliche comuni o anche
la cosiddetta “lectio divina” settimanale; ma lì si ricorre ai ciclostilati. Così rimangono intonse anche le
bibbie di chi cerca di preparare coscienziosamente l’omelia domenicale, consultando magari i “predicabili”
forniti dalle varie riviste, o anche monografie su vangeli o altre opere di specialisti o i manuali delle scuole
di teologia. Tutte cose che sfogliando una bibbia moderna, vi si troverebbero spiegate in breve e bene, nelle introduzioni relative o nelle note o nei sussidi finali, specialmente i quadri storici e geografici. Per non
parlare di chi si limita a sbirciare all’ultimo momento sul lezionario, prendendo uno spunto qualunque per
“annunciare la Parola”(4,2).

Lc 18,1-8
Prima di finire la raccolta del “viaggio lucano”, al v.14, si presentano alcuni insegnamenti di Gesù sulla preghiera; dopo quello odierno, leggeremo ancora quello del fariseo e del pubblicano. Alla preghiera incessante promette la risposta pronta di Dio. Se non è pronta, forse è perché non è così incessante? O
forse perché è un po’ bellicosa, come quella dell’AT? Ci è difficile entrare nella prospettiva evangelica, che abbiamo già ricordato all’inizio. E’, in fondo, quella del “Padre nostro”: venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà. Stupisce poi, alla fine, l’ultima, amara domanda di Gesù: se troverà ancora fede sulla terra al Suo
ritorno. Se non è un rimprovero al nostro cristianesimo moderno, che sembra perderla, forse si manifesta
ancora una volta l’umana delusione del Suo fallimento personale in Israele. Luca, più degli altri evangelisti,
l’aveva manifestato fin dall’inizio della Sua predicazione a Nazaret (Lc 4): nessuno è profeta in patria (4,24).
Ciò, anche se, tornando Luca allo schema sinottico, ritornerà pure la serenità lucana: del cieco di Gerico,
alla fine del capitolo, e di Zaccheo, all’inizio del successivo, che leggeremo a fine mese.

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