La Diocesi di Acqui ha origini antiche e legate all’importanza della città romana di Aquae Statiellae. Il territorio diocesano si formò probabilmente sulla circoscrizione facente capo al Municipium: il termine “Diocesi” infatti, in uso nella legislazione romana nel IV secolo, indicava proprio un’ampia circoscrizione comprendente varie province, governate da un Vicario.
L’archeologia conferma la cristianizzazione in Acqui nel IV secolo, con i ritrovamenti nell’area cimiteriale nei pressi dell’attuale piazza Orto San Pietro.
I vescovi acquesi del tardo antico anche nel nome sono legati al mondo romano, (ricordiamo Maggiorino, Massimo, Severo), mentre nell’alto medioevo le fonti annotano vescovi di chiara onomastica germanica (Odalberto, Ragano, Bodone, Sedaldo).
La giurisdizione del vescovo sulla città e sul territorio circostante venne legittimata nel medioevo dal potere laico, imperiale e comitale, che confermò ai presuli acquesi non solo i diritti della loro chiesa ma il controllo sui castelli, villae e pievi che entrarono così nell’ambito e nelle pertinenze della chiesa di Acqui.
L’incastellamento e l’edificazione di chiese, pievi e cappelle si inserì in un contesto di controllo del territorio che andava dalla pianura al mare ed il vescovo di Acqui ne ebbe il governo già dal secolo X con il predominio sulla Città e sugli sbocchi delle valli Erro e Bormida.
Nel secolo XI il nucleo urbano di Acqui, coeso intorno al potere vescovile, si concentra sulla parte più elevata della città, nel Castelleto, dove dimorò San Guido. Quando le tensioni fra Guelfi e Ghibellini in Acqui finirono, con la consegna della città nelle mani del marchese Guglielmo di Monferrato nel 1278, i vescovi acquesi avevano traferito già da 20 anni la loro sede dal “castelletto” al castello di Bistagno, dove resteranno fino al tardo XIV secolo. Il vescovo Enrico Scarampi nel 1383, dopo aver lasciato l’ingente somma di 364 ducati ai suoi successori per l’erezione di un nuovo episcopio, cedette in commenda Bistagno ai marchesi di Monferrato.
Solo nel 1429 si ha notizia dell’acquisizione da parte del vescovo Bonifacio Sigismondi di case appartenenti alla Corte del Capitolo per l’innalzamento di un episcopio, che sarà ultimato da Mons. Tommaso de Regibus tra il 1460 e il 1476.
L’edificio, in origine elevato di tre piani con un’ampia cantina voltata “a botte”, affaccia sulla piazza del Duomo. Dopo il restauro degli anni ’30 presenta un paramento di mattoni a vista con finestre monofore archiacute e a sesto ribassato. Fu il vescovo Francesco di S. Giorgio e Biandrate a raddoppiare il corpo originario, ultimato nel 1592, insieme al portale verso la piazza.
Mons. Camillo Beccio nel 1602 unì con un corpo porticato (la foresteria) il palazzo vescovile con la canonica.
Sulla foresteria sono infissi due paliotti d’altare, databili fra il 1434 e il 1450 e commissionati da Mons. Bonifacio Sigismondi ad Albenga, raffiguranti San Lorenzo, Santo Stefano e San Guido che regge la cattedrale, San Paolo, San Giacomo Maggiore e San Pietro.
Alla fine del ‘600 furono erette le volte a gran parte dell’edificio.
Di notevole interesse è la pala del Moncalvo raffigurante San Carlo Borromeo e Sant’Orsola, databile al decennio 1610 e collocata sull’altare della cappella interna al palazzo, voluta da Mons. Ignazio Marucchi intorno alla metà del secolo XVIII.
Mons. Carlo Giuseppe Capra restaurò nel 1762, modificandolo radicalmente, il salone delle effigi, iniziato da Mons. Camillo Beccio, in conformità ai dettami del Concilio di Trento.
Il piano nobile del palazzo vescovile è arricchito, nella stanza dell’angolo nord-est, da un grande affresco raffigurante la carta geografica della Diocesi, dipinto agli inizi del 1570.
Di notevole interesse sono gli arredi, le tele seicentesche e le decorazioni ad affresco della cappella.
Negli ultimi anni il piano nobile del palazzo è utilizzato per la valorizzazione del patrimonio archivistico, librario e culturale della diocesi grazie ai fondi diocesani dell’8 x 1000 CEI