a cura di don Enzo Cortese

Commento alle Letture di Domenica 18 dicembre 2022

Domenica 18 dicembre
Is 7,10-14
Nell’Avvento, in questo anno A del triennale ciclo liturgico, abbiamo la fortuna di leggere tutte e tre, le più
antiche profezie autentiche di Isaia. Si trovano, in ordine cronologico, nei tre capitoli Is 7, Is 9 e Is 11 e sono
state pronunciate appena dopo il 740 a.C. per il concepimento, la nascita e la designazione regale (attorno
ai 10 anni) di Ezechia, figlio del re Acaz, re scettico e pauroso. Abbiamo cominciato dall’ultima, nella 2a
domenica (4 Dic.) e finiamo ora con la 1a, la più adatta a prepararci al Natale; la 2a la sentiremo presto,
nella Messa della notte. A cominciare da quella di oggi, sul figlio in arrivo, riguardano anzitutto Ezechia, che
poi sarà un gran re. Nell’ebraico la madre è ‘almà, cioè “donna giovane”, che nel Vangelo è tradotta
“vergine”, traduzione, che è già così nell’antica ( circa II° secolo a.C ) traduzione greca dei Settanta:
parthenos. La profezia è stata trasfigurata perché le cose dette dal profeta non solo si sono verificate
subito, ma hanno ravvivato l’attesa messianica già suscitata dalla profezie di Natan a Davide, più di due
secoli prima. Anche se ormai, al tempo della traduzione, la monarchia davidica era scomparsa,
subentrandole, prima, i Maccabei, forse discendenti di Levi, che nel II sec. a.C. assumono la monarchia, e
poi addirittura Erode Edomita, tutt’altro che discendente di Davide. La vergine madre dunque non se
l’inventa il NT; ha fatto già sognare i contemporanei di Acaz, quando hanno visto che gli Assiri hanno
distrutto i due spaventosi vicini, Samaria e Damasco, mentre Il piccolo Giuda è rimasto, come il profeta
aveva detto.
Sal 23 (nella Bibbia 24)
Lo cantavano per entrare nella piazza del tempio, riportandovi in processione l’arca (24,7ss.), facendo
prima un esame-presa di coscienza sulla necessità di essere degni di avvicinarsi a Dio creatore e ai sacrifici
fatti poi all’altare (24,3ss.). E’ proposto per invitare anche noi a purificarci la coscienza, con l’opportuna
confessione, in vista del Natale.
Rom 1,1-7
Mi sembra che si voglia richiamare, con l’introduzione della lettera principale di Paolo, qual è la nostra
vocazione cristiana, perché ci rimettiamo in regola a Natale. Come lui, anche noi siamo ‘scelti’ o ‘consacrati’
o ‘messi a parte’ -vedi Galati 1,15- (così le nostre traduzioni in 1,1); la parola greca richiama i confini
(’aphorismenos, da ‘oria=i confini), cioè i limiti che Di ci ha messo chiamandoci ad essere cristiani: limiti sia
per non fare alcune cose e sia per farne delle altre. Nella vita, seguendo le vicende che ci capitano o che noi
decidiamo, si realizza fin nei dettagli la chiamata cristiana alla fede e la relativa missione o il suo rifiuto
graduale. Così è stato per Paolo, prima, fanatico giudeo persecutore dei Cristiani, poi ‘la chiamata’, a
Damasco.. ‘lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce..’ (At 9,3) e ritiratosi al suo paese,
nel Sud-est della Turchia, viene ricuperato da Barnaba e inserito nella nuova comunità di Antiochia,
all’estremo Nord della Palestina, da cui decide di partire per i suoi viaggi missionari. Se proseguiamo nel
capitolo, vediamo che esprime il desiderio di andare a Roma, dove ormai s’era sviluppato il più importante
centro cristiano, dopo Gerusalemme. A Gerusalemme ha capito presto che si formava un cristianesimo
“giudeo-cristiano”, che avrebbe fatto deviare la gente dalla sua missione. Così la chiamata di Paolo lo
spingerà ad arrivare a Roma; ma da prigioniero. Ecco i confini tracciati da Dio alla sua missione, tutta basata
su Gesù che l’ha fatto apostolo e che è stato preannunciato dai profeti (Rom 1,2); anche a noi, “chiamati
da” (o meglio “di” ) “chiamati di Cristo Gesù”(1,6): i cristiani sono chiamati da Cristo per sé e quindi sono
suoi (Rm 8,9, Gal 5,24)
Mt 1,18-24
Finalmente possiamo entrare nel clima natalizio vero e proprio, contemplando Maria incinta e pensando ai
problemi di Giuseppe. Problemi che forse esageriamo, con la nostra mentalità, sessualmente fragile rispetto alla sua. Non credo che Maria avesse nulla di eccitante, anche se lui l’amava, pienamente
ricambiato. Semmai il problema era come essere all’altezza del compito di padre (putativo) di quel Fjglio
straordinario, con la conseguente necessità di non averne altri, per non confondere le cose e la missione
sua e della moglie. Giuseppe avrà capito più di noi la grandezza del dono e la responsabilità che
comportava. Contemplare così quella coppia ci può aiutare a purificarci per Natale. Ormai è ora.

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