a cura di don Enzo Cortese

Commento alle Letture di Domenica 6 novembre 2022

2Mac 7,1-2.9-14
Frequentando i cimiteri nel giorno dei morti, siamo invitati a pensare alla risurrezione, che è il tema del
Vangelo. Si prende il 2° libro dei Maccabei, anch’essi assenti dall’elenco o canone ebraico. E’ scritto solo in
greco (e prima del precedente!) e narra gli inizi della rivolta dei Maccabei, figli del sacerdote Mattatia, che
hanno fatto scoppiare la rivoluzione contro Antioco Epifane nel 175 a.C. Allora gli Ebrei erano caduti sotto il
suo dominio. Era uno dei successori che si sono divisi l’impero di Alessandro Magno, ereditandone la parte
orientale. Prevalso nella lotta con quello occidentale, egiziano (i Tolomei), aveva tentato di ellenizzare e
paganizzare gli Ebrei, profanandone il tempio. Ai sei fratelli martiri (il brano finisce al 4°) segue la bella
testimonianza della madre. Nella loro coraggiosa fede è dichiarata la risurrezione del corpo, prima poco
creduta, esplicitamente, nell’AT. Nella cultura greca era facile pensare al dopo-morte, per la concezione
d’una totale separazione tra corpo e spirito; ma si trattava della sola sopravvivenza dello spirito. Con la
morte lo spirito era liberato dal corpo! Nella concezione antropologica ebraica non c’era questa separazione; perciò o si credeva che tutto finiva o si doveva arrivare a pensare alla risurrezione.

Sal 16 (nella Bibbia 17)
Forse il salmo è stato scelto per il v.14 ”salvami dai morti” (e da questa sorte mortale; così sembra
prosegua il testo). Lo precede una strana e lunga affermazione di innocenza, parte del rito d’una probabile vpreghiera per il re, che invocava la protezione contro terribili nemici e finiva con la speranza di “risvegliarsi” alla definitiva presenza salvifica di Dio.

2Ts 2,16-3,5
Nonostante sia letta alla fine dell’anno liturgico, come la prima anche la seconda è tra gli scritti più antichi
del NT, e di Pl stesso, ancora alla fine del suo secondo viaggio. E’ nel pieno della sua entusiasmante attività
apostolica, abbastanza coronata anche dall’esito della fede dei Tessalonicesi, in parte esagerati nell’attesa
della venuta di Gesù e in parte fannulloni; per la sua fervente attività chiede appunto che preghino, come
anche noi dobbiamo fare per l’attività della Chiesa di oggi.

Lc 20, 27-38
Dopo Gerico, segue l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme, letto alla domenica delle palme, e le dispute
coi suoi avversari che porteranno alla morte, compimento di tutto. Nelle due ultime domeniche (poi ci sarà
quella finale di Cristo-re) si scelgono solo la disputa coi Sadducei, questa domenica, e parte del discorso
escatologico nell’altra. La disputa è importante non solo perché mostra, alle porte della morte di Gesù, la
sua speranza nella risurrezione, contro gli increduli Sadducei, di origine sacerdotale (da Sadoq, sommo
sacerdote dai tempi di Davide: 2Sm 8,17; poi Ez40,46…), ma anche perché Egli dà il benservito al culto
ebraico antico, coi sacrifici e il tempio, di cui ha annunciato la rovina, con quella della città, scacciandone i
venditori (Lc 19,41-44 e 45s.; cose omesse nella nelle nostre letture). Dal Sacerdozio di Gerusalemme, la cui
storia diventa piena di corruzione, specialmente durante il dominio di Antioco Epifane, avevano già preso le
distanze gli Esseni, creando un culto senza tempio e sacrifici a Qumran nel 150 a.C! Con Erode poi, un padrone non ebreo ed Edomita del tempio, il sommo sacerdozio di Gerusalemme, alla fine dell’era bmaccabaica, si era nuovamente e radicalmente contaminato; Erode si era mescolato sposando delle discendenti del sacerdozio maccabaico. Difatti ancora una quarantina d’anni, a partire dalla morte di Gesù,
e quel culto, ormai più tollerato che amato, finirà.

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