
In ricordo del Cardinale Luigi Raimondi
A distanza di cinquant’anni dalla morte di una persona, essa può essere ricordata, il più delle volte, da coloro che affettivamente le sono stati più prossimi per rimarcare il vuoto lasciato, per ricordare aneddoti, per immaginarne possibilità. Quando invece si sente il dovere di ricordare qualcuno che neppure si è conosciuto personalmente, è per l’eco della sua vicenda di vita, per il fatto di sentirne ancora parlare, che accende il desiderio o forse la sola curiosità di conoscerlo meglio, di saperne di più. Così è per il Card. Luigi Raimondi, che lasciò questa terra il 24 giugno 1975. Gli acquesi sanno di una via a lui intitolata nel quartiere antico della città, che porta là dove c’era il Seminario e poi al Duomo. Luoghi che hanno inciso profondamente nella biografia del Nostro.
Mentre era al soglio pontificio Pio X e la vita della Chiesa era attraversata dalla crisi modernista, e in Acqui era Vescovo Mons. Disma Marchese, il 25 ottobre 1912 nasceva a Lussito Luigi Raimondi, primo degli otto figli di Giovanni e Maria Giacchero, dediti ai lavori dei campi. Il giorno seguente fu portato al fonte battesimale.
Due anni dopo il mondo conosceva la furia del primo conflitto mondiale, nello stesso anno in cui diventava papa Benedetto XV. Nel 1922 gli subentrò Pio XI, pochi mesi prima che Mussolini salisse al potere. Passati ancora due anni divenne Vescovo di Acqui Lorenzo Delponte.
In questo periodo il Nostro, per coltivare quelle spiccate doti che gli erano state riconosciute, entrò giovinetto nel Seminario diocesano. Qui si distinse per viva intelligenza, amore allo studio, contegno riservato e spirito di pietà, qualità che lo resero degno dell’ordinazione sacerdotale del 6 giugno 1936.
Dal Vescovo diocesano venne mandato a Roma a perfezionarsi negli studi ecclesiastici. Nel 1938 conseguì la laurea in S. Teologia e in Diritto canonico.
Fu presto chiamato al servizio diplomatico della Santa Sede, dove si distinse per la sua capacità di coniugare fermezza e ascolto, diplomazia e spirito pastorale.
Ma è bene a questo punto procedere più adagio nel passare in rassegna gli incarichi avuti dopo l’iniziale esperienza presso la Segreteria di Stato.
Nel 1938 venne inviato nel Guatemala come Addetto della Nunziatura Apostolica, della quale poco tempo dopo fu nominato Segretario. Questa esperienza lasciò in lui un incancellabile ricordo misto ad un senso di serena nostalgia, nonostante i disagi dovuti alle impegnative condizioni ambientali.
Nel 1942 venne trasferito quale Uditore alla delegazione Apostolica di Washington, a fianco del Delegato apostolico Mons. Giovanni Amleto Cicognani, poi Segretario di Stato con Giovanni XXIII e Paolo VI.
Nell’ancor travagliato periodo post-bellico, sempre a fianco di Mons. Cicognani, si prestò validamente nel coordinare e intensificare quella generosa opera di assistenza promossa dall’Episcopato Americano, che valse ad alleviare tante acute sofferenze particolarmente in Italia in anni di vera fame.
Nel 1949 Monsignor Raimondi lasciò l’America per raggiungere Nuova Delhi, con l’ufficio di Consigliere e poi di Incaricato d’Affari presso la Nunziatura Apostolica. Il Presidente Nehru avrebbe voluto che divenisse titolare della Nunziatura, ma non sempre i desideri degli uomini coincidono con quelli divini…
Nel dicembre 1953 venne nominato Nunzio Apostolico nella Repubblica di Haiti.
Ordinato Arcivescovo titolare di Tarso, ricevette la consacrazione episcopale domenica 31 gennaio 1954 nella Basilica di San Carlo al Corso. Tra i vescovi assistenti vi era il Vescovo di Acqui Mons. Giuseppe Dell’Orno, che gli rappresentò la vicinanza e la stima della Diocesi offrendogli in dono un artistico pastorale, la croce pettorale, la mitria e l’anello episcopale. Il consacrato ricambiò ben presto i sentiti legami con la Diocesi celebrando domenica 7 febbraio la Messa solenne nella parrocchiale di Lussito e la domenica seguente il suo primo pontificale in San Francesco in occasione della festività della Madonna di Lourdes.
Nel triennio alla Nunziatura di Haiti ebbe tra gli altri delicati compiti quello di portare ad esecuzione il noto Decreto “Maris Caraibici”, che disponeva la ristrutturazione di tutta la complessa materia attinente alla giurisdizione delle Nunziature e Delegazioni Apostoliche delle ‘Piccole Antille’ e delle tre Guyane (britannica, francese e olandese). Si trattò di un intenso lavoro, oltre che diplomatico, autenticamente missionario, con lunghi ed estenuanti viaggi in quella vasta area disseminata di isole e territori di diversa dipendenza politica. Il Vescovo-Pastore ebbe modo di svolgere un vero apostolato presso quelle popolazioni, dedicando particolare cura a favore dei nativi americani. Nel 1958 giungeva per il Nunzio Raimondi una nuova promozione: il Papa gli affidava l’importante Delegazione Apostolica di Città del Messico, che diresse per un decennio – importante forse soprattutto perché irta di difficoltà. Si trattava di una missione a sostegno e a salvaguardia di un popolo nella quasi totalità cattolico, ma sotto l’autorità di un governo ateo, con la Chiesa sottoposta ad uno stato di persecuzione giuridica. Mons. Raimondi ebbe modo di poter far risplendere le sue doti in arte diplomatica, guidate dall’ormai maturata esperienza e sorrette dal suo profondo spirito sacerdotale. Nella Chiesa messicana egli è ancor oggi particolarmente ricordato come l’illuminato artefice di una vera rifondazione delle diocesi, ridimensionate con criteri meglio rispondenti alle esigenze pastorali, e come promotore di iniziative a sostegno dei più poveri ed emarginati, e in particolare della popolazione indigena del Chiapas.
Quando Giovanni XXIII convocò il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), Mons. Raimondi partecipò con due interventi personali presso le Commissioni sulla Divina Rivelazione e sui Vescovi e il governo delle diocesi
Dopo quattro anni di pontificato Paolo VI, il 6 giugno 1967, lo chiamò a reggere la Delegazione Apostolica di Washington. Vi rimase per sei anni, lasciando un indelebile ricordo ed una ben marcata impronta della sua statura morale e delle collaudate attitudini diplomatiche, che tra l’altro lo portarono, durante la presidenza di Lyndon B. Johnson, a svolgere un delicato ruolo di intermediazione nei tentativi di soluzione diplomatica della Guerra del Vietnam. Nel 1963 si era verificato l’assassinio del Presidente americano J.F.Kennedy. Seguirono anni difficili per gli U.S.A., solo in parte mitigati dal successo raggiunto quando, il 20 luglio 1969, avvenne il primo sbarco dell’uomo sulla Luna.
Sfogliando le carte rimaste balza in evidenza la grande considerazione che Paolo VI aveva per il Nunzio di quegli anni in U.S.A.
In un appunto del 26 agosto 1972, dopo un’udienza avuta con il S. Padre, Mons. Raimondi, annota: “Conversazione serrata si toccano molte questioni”. Riporta inoltre, dalla voce del Papa: “Sappia che seguiamo con il più grande interesse il suo lavoro e siamo contenti e riconoscenti”. “Basta che arrivi un rapporto da Washington che viene subito qui. Poi magari segue la riflessione ma ne prendiamo subito conoscenza”. “Lei è discreto, ha le doti che ci vogliono: bontà, pazienza, comprensione”. “Non segue la linea del trionfalismo”.
Che non si trattasse di frasi di circostanza è prova il fatto che l’anno seguente Paolo VI, nel concistoro del 5 marzo 1973, lo elevò alla Porpora cardinalizia insieme ad altri 29 confratelli di ogni parte del mondo. Nello stesso giorno ricevette la Berretta rossa e la diaconia dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari.
Pochi giorni dopo, il 21 marzo, venne nominato Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.
Anche questa volta, come già nel 1954, volle rendere i suoi primi saluti cardinalizi alla città e alla gente di Acqui, che lo accolse e festeggiò. lI 29 aprile 1973 avvenne l’incontro tra il cardinale e la sua Città e Diocesi: al mattino fu ricevuto in Municipio dal sindaco cav. Ignazio Pistone, nel pomeriggio concelebrò il pontificale con i due Vescovi di Acqui Giuseppe Dell’Orno e Giuseppe Moizo.
Oltre alla Direzione del Dicastero affidatogli, ebbe a svolgere importanti incarichi nella Congregazione degli Affari Esteri Ecclesiastici Straordinari, in quella dei Vescovi, nonché in quella per l’Evangelizzazione dei popoli.
Dove più sensibile si fece la sua presenza fu nella Congregazione per le Cause dei Santi.
Qui si impone una sosta per ricordare il viaggio in Polonia, dove, su invito del Cardinale Primate Stefan Wyszynski, si recò dal 24 agosto al 7 settembre 1973. Il 26 settembre fu a Czestochowa per commemorare la proclamazione della Vergine come Regina e Madre della Polonia. Nel Santuario così si espresse: “Sono venuto qui come umile pellegrino per unire le mie preghiere alle vostre […]”. Nei tanti luoghi da lui visitati prese parte a celebrazioni liturgiche insieme ad affollatissime assemblee di fedeli. Il tema che ritornava frequentemente negli incontri con i Vescovi e con la popolazione era quello delle cause di beatificazione dei Servi di Dio (tra cui quella di P. Massimiliano Kolbe) presentate alla Congregazione. Per questa ragione incontrò i numerosi Postulatori dei 28 candidati polacchi all’altare nella residenza del Cardinale Wojtyla a Cracovia. L’esperienza in Polonia gli permise di conoscere e di elogiare quella popolazione: “Dal punto di vista strettamente ecclesiastico e spirituale, si riscontra una grande frequenza ai Sacramenti di fedeli di tutte l’età e un vero amore alla fede e alle tradizioni ecclesiastiche, alcune delle quali molto pittoresche ed espressive. Ho rilevato pure con gioia l’abbondanza di vocazioni tanto per il sacerdozio che per la vita religiosa, in più un marcato spirito missionario” (28 settembre 1973). E in una nota a parte richiamava un episodio risalente al Concilio, che richiamò l’attenzione e commosse tutti i padri Conciliari: “Mi riferisco al dono simbolico che i cattolici polacchi fecero a tutti i padri Conciliari di ostie da consacrare, perché fossero usate dagli stessi padri nella celebrazione della Messa, chiedendo un ricordo e una preghiera per la Polonia. Quelle ostie erano state confezionate con chicchi di grano raccolti da tutti i campi della Polonia e inviate a Roma per significare la partecipazione dei fedeli di questa Nazione al Concilio e la loro adesione alla Gerarchia universale”.
L’occhio spirituale attento del Prefetto della Congregazione dei Santi sapeva cogliere e si impegnava a valorizzare la presenza della santità semplice, anonima, che poi verrà chiamata ‘della porta accanto’. In una sua pregevole lezione tenuta nell’Aula magna dell’Angelicum nel febbraio 1975 diceva: “Forse molti di noi sono stati in contatto […] con santi autentici che ci vivono a fianco o camminano per le nostre strade”. E poi aggiungeva: “I santi autentici non fanno mai professione o sfoggio di santità. Essi hanno cura di nascondersi allo sguardo della gente, perché il loro impegno consiste nel far posto a Cristo sopprimendo il loro io; ma poi non possiamo non osservare alcune manifestazioni di carità e di zelo che inevitabilmente si rendono visibili e che testimoniano la presenza di Cristo operante in essi”.
L’opera del Card. Raimondi presso quella Congregazione, sebbene ristretta nel breve tempo di due anni e tre mesi, viene ricordata particolarmente per la concomitanza con la preparazione e l’inizio dell’Anno Giubilare 1975.
Nel mese di dicembre del ’74, a dieci giorni dall’apertura della Porta Santa, in una intervista alla Radio Vaticana, egli parlò delle beatificazioni e canonizzazioni che il suo Dicastero si riprometteva di poter inserire nel Calendario giubilare. Si trattava di un programma vasto e coraggioso, commentarono i suoi collaboratori. Ma il Signore, nei suoi inscrutabili disegni, ancora una volta aveva disposto diversamente.
Il 24 giugno 1975 avveniva il transito.
Il Prefetto della Congregazione dei Santi, terminato il lavoro mattutino nell’ufficio della Congregazione, mentre si trovava nella sua abitazione in attesa di ricevere la visita del Cardinale John Joseph Carberry, arcivescovo di Saint Louis, accusò un malessere che risultò letale.
Aveva 63 anni non ancora compiuti (39 di sacerdozio, 22 nella dignità arcivescovile, 2 di cardinalato).
I riti funebri a suffragio dell’illustre porporato ebbero inizio solennemente in S. Pietro giovedì 26 giugno; quindi la venerata salma partiva per Acqui, dove il rito funebre venne officiato venerdì 27 giugno in Cattedrale dal Cardinale Michele Pellegrino Arcivescovo di Torino. Concelebrarono i vescovi di Acqui, Mons. Giuseppe Moizo e Giuseppe dell’Omo, con i due coetanei dell’estinto, i parroci don Natale Pastorino di Carcare e don Luigi Botto di S. Pietro di Masone, oltre ai canonici della Cattedrale. Mons. Giuseppe Moizo ha porto l’ultimo saluto al Card. Raimondi nella parrocchiale di Lussito, prima che la salma venisse inumata nella tomba di famiglia nel cimitero poco distante, dove il defunto aveva chiesto di tornare per essere sepolto.
Tra le innumerevoli attestazioni di cordoglio per la improvvisa e immatura scomparsa del Cardinale ricordiamo il telegramma del Papa Paolo VI al Card. Traglia, Decano del Sacro Collegio, nel quale esprimeva “[…] il suo dolore per la repentina morte del compianto presule, ricordandone l’eletta figura di sacerdote e di vescovo, il suo servizio alla Santa Sede prestato nei molteplici campi dove l’obbedienza lo aveva chiamato”.
Parole che ritraggono bene lo spirito sacerdotale del presule Raimondi, che così esprime in un suo scritto privato: “Nella mia vita ho seguito sempre la norma di rimettermi alle decisioni dei Superiori per le mie destinazioni, riconoscendo in essi i rappresentanti di N.S. e nelle loro disposizioni la volontà di Dio. Per questo non ho mai cercato di influire per avere un posto piuttosto che l’altro e ho sempre accettato i cambi con la determinazione di vedere in essi il mio bene spirituale. Non nascondo che alcune volte mi sono chiesto se non era mio dovere di aiutare i Superiori nel prendere le decisioni. Se ho preferito lasciare le cose in mano della Provvidenza e assumere un atteggiamento che potrebbe dirsi passivo sotto questo aspetto, è stato per le ragioni di cui sopra. Senza dubbio, più di una volta questo ha significato per me sacrifici assai gravi non solo fisici, ma soprattutto morali. Non vedo, tuttavia, che dovrei cambiare atteggiamento”. E dopo un colloquio con Paolo VI, ricordando stupito che il Papa gli avesse chiesto di esprimere i suoi desideri, scrive: “Nella sua Udienza il Santo Padre, con grande benevolenza, mi chiese se avessi dei desideri e me lo ripeté. Il mio desiderio rimane questo di spendere utilmente la mia vita al servizio della Chiesa e delle anime, nelle condizioni che più si adattino alle mie possibilità. Se sarà desiderio dei Superiori, vedrò di essere più esplicito. Intanto confido nella loro benevola comprensione, nella sicurezza che vorranno mettermi in condizioni di dare quel modesto contributo alla causa di Dio che le mie povere e deboli forze consentono”.
Forse mi sono dilungato troppo, ma valeva la pena sapere qualcosa in più su quel Cardinale al quale la città di Acqui ha dedicato una via, lungo la quale passiamo ignari.
E in chiusa, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, si può asserire che la figura del Cardinal Luigi Raimondi continua a essere un riferimento per tutti coloro che vedono nella fede e nel servizio agli altri la vera grandezza di un pastore.
sac. Paolo Parodi