
Sir 27,5-8 (NV)
Il Siracide o Ecclesiastico è un “deuterocanonico”, cioè è entrato nel canone dei libri ispirati in un secondo tempo. Non c’è infatti nella Bibbia ebraica e lo dobbiamo alle antiche versioni: greche, latine e siriache. L’autore dell’ebraico si chiamava Gesù, figlio di Sirac cioè Siracide (Sir 50,27) agli inizi del sec. 2° a.C. L’antica traduzione greca è del nipote, che si presenta all’inizio; testo non ispirato. L’antico originale ebraico è sparito; ne hanno ritrovato dei pezzi solo a partire dalla fine del 1800 d.C. La Chiesa l’ha accolto dalle antiche versioni, che vanno distinte da quelle italiane, recenti. La sigla NV indica l’ultima di queste, l’italiana della CEI, del 2008. I traduttori italiani, a loro volta, hanno dovuto fare delle scelte del testo biblico tra quelle antiche. La Bibbia di Gerusalemme più recente ha, accanto alla numerazione dei versetti scelti qui, un altro numero, inferiore di un’unità, perché il traduttore ha voluto tener presente anche un’altra delle versioni antiche, differente nella numerazione, ma, a volte, anche nel senso. Tra questo guazzabuglio di testi e versioni c’è da ricordare ancora che l’antica versione latina (Volgata) ha una Nuova Volgata (NV), un’edizione voluta da Paolo VI e pubblicata nel 1979 e nel 1986. Questa NV non va confusa con la traduzione italiana NV indicata nel lezionario. Il brano scelto invita ad evitare troppo discussioni, polemiche e litigi, che mettono in evidenza la propria cattiveria, come quando, nel setacciare, rimane dentro al setaccio la roba da buttare. Il tema è in relazione alla parte conclusiva del Vangelo, che parla dei prodotti delle spine e dei rovi.
Sal 92 (91 nel lezionario)
E’ uno dei primi salmi del 4° libro del Salterio, una raccolta messa assieme per funzioni particolari, non ben identificabili. Contiene i principali Salmi di JHWH-re, da 93 in poi. Questo nostro salmo nel titolo antico viene indicato “per il giorno di sabato” (nel greco talvolta anche per i successivi). E’ scelto perché parla anche degli insensati e degli empi che spuntano e germogliano come l’erba (vv. 7s.), mentre i giusti fioriscono e danno frutti fino alla vecchiaia (vv.13ss.). Il che non deve distoglierci dal lodare il Signore, nonostante le spine e i rovi del Vangelo.
1 Cor 15,54-58
Siamo finalmente alla conclusione del tema della nostra risurrezione, che Paolo, partendo dalla risurrezione di Gesù, ha tentato di spiegarci. Da una parte ci dice che l’abbiamo già cominciata e dall’altra che avverrà solo alla fine, grazie a quella di Lui. La miglior spiegazione e commento che conosco è, per me, quella del documento sulla Chiesa del CV II°, la Lumen Gentium, al cap.7°: “Indole escatologica della Chiesa peregrinante e sua unione con la Chiesa celeste”; i §§ 48ss. varrebbe la pena di rileggerli: da una parte, siamo già risorti e, dall’altra, risorgeremo solo alla fine di questo mondo. Si veda pure, meglio ancora e più brevemente, nel cap. 3° della “Gaudium et spes” il § 39: “Terra nuova e cielo nuovo”.
Lc 6, 39-45
Siamo all’ultima parte del discorso della montagna (Mt 5ss) o della pianura di Lc 6. Non facciamo a tempo a concluderlo (ci sarebbero ancora Lc 6,46-49) perché arriva la Quaresima. La lettura più o meno continua di Lc riprenderà a Giugno, col cap. 9. Nei “tempi forti” di Quaresima e Pasqua la liturgia dà lei i temi e sceglie i brani evangelici (non solo di Lc). Lc sceglie qui, dalla parte finale di Mt 7, i consigli e le riflessioni da dare ai dodici. Prima su come devono essere guide e poi su come accettare le sconfitte. Per non essere ciechi a guida dei ciechi, togliersi la trave dall’occhio prima di pulire l’occhio altrui. Il senso della sentenza successiva, sui frutti dell’albero, cambia leggermente rispetto a Mt 7,16ss.: possono essere spine e rovi non solo i destinatari della missione ma gli stessi esecutori: gli apostoli! Lo fa notare il commento della Bibbia di Gerusalemme a Lc 6,39, includendovi anche i vv.42ss. Se i tentativi apostolici falliscono, a volte è opportuno smetterli, come ha fatto Paolo con gli Ebrei in At 13,44ss.; in Rom 9ss., però, e ancora negli Atti, mostra che gli stanno sempre a cuore e ne profetizza il ricupero finale della posizione privilegiata. Se l’aiuto che diamo all’ubriacone o al drogato non dà esito smettiamolo. Ma non abbandoniamoli, cosa che la pastorale cristiana fa oggi lodevolmente. E se siamo noi le spine e i rovi, si chieda perdono, senza disperare e abbandonare l’impresa.