Commento alle Letture della III Domenica di Pasqua a cura di don Enzo Cortese

At 5,27b-32.40b-41
La prima lettura nelle domeniche pasquali è sempre dagli Atti, ma in ognuno dei tre anni ha un proprio percorso. Nel nostro anno C si parte subito da At 10, a Pasqua: vi abbiamo letto la decisione di Pietro di predicare il vangelo ai Romani di Cesarea Marittima senza aggiungere gli obblighi del giudaismo. Poi si torna indietro per descrivere la vita spirituale di Gerusalemme (domenica scorsa: At 5) e, ora (3° domenica), il coraggio degli apostoli contro i tentativi giudaici di silenziare la risurrezione di Gesù anche con le percosse. Nelle successive tre domeniche si passerà a At 13ss.: all’attività missionaria di Paolo e il Concilio di Gerusalemme, fino al suo discorso a Antiochia di Pisidia (Turchia centrale), alla fine del primo viaggio missionario e al ritorno al punto di partenza: Antiochia di Siria. Un percorso che stimola il mantenimento della vivacità riacquistata nel rinnovamento pasquale delle nostre comunità.
Sal 30 (29 nel lezionario)
Nel primo e più grande gruppo dei salmi “di Davide”, che vanno fino al Sal 41, conclusione del 1° libro del salterio, sono ammucchiate soprattutto le “lamentazioni”, preghiere in cui il re si lamenta con Dio, chiedendo aiuto per sé e il suo popolo. Dal 30 in poi si parla spesso di malattie. Esse sono variamente spiegate: dai peccati e qui da una certa autonomia più o meno colpevole di fronte a Dio ( v. 7) ” ..Io avevo detto nel mio benessere: mai vacillerò in eterno ” . Solitamente nella cerimonia qui interveniva un oracolo salvifico, quasi sempre omesso nel testo, perché toccava al sacerdote e non al cantore del salmo, e si concludeva ringraziando per quella risposta, conclusione che spiega, così, il cambio d’umore dal lamento iniziale alla gioia finale. Nel titolo antico, non riportato né dal lezionario né dal breviario, qui c’è anche “per la dedicazione del tempio”, che potrebbe esser stata messa quando ricostruirono il tempio al ritorno dall’esilio, alla fine del 5° sec. a.C. Noi possiamo leggerlo come ringraziamento per la risurrezione.
Ap 5,11-14
In queste domeniche pasquali la seconda lettura dell’anno C – è presa dall’Apocalisse, saltandone tante parti. Negli altri anni (A e B) si seguono altri libri: 1 Pt e 1Gv. Dopo la contemplazione di Gesù risorto (domenica scorsa), si deve prendere coscienza che il trionfo della risurrezione non è un traguardo tranquillo. Le visioni del libro sono scritte per mostrarlo; bisogna ancora passare per tante lotte prima del traguardo finale. E lo spettacolo attuale dei cristiani ortodossi russi e ucraini lo mostra dolorosamente. Il nostro cap.5° introduce l’argomento partendo dal trionfo del Figlio dell’uomo di Dan 7. Questo titolo sarà quello preferito da Gesù. Ma Giovanni nell’Apocalisse ci sorprende perché cambia la figura: non c’è il personaggio glorioso di Dan 7, ma l’agnello sgozzato e in piedi. Non se l’è sentita di descriverne le pur necessarie umiliazioni, non preannunciate in Dan e taciute nella trionfale visione iniziale di domenica scorsa (e completata alla fine, in Ap 19). Giovanni ricorre all’immagine usata specialmente nel 4° poema del messia sofferente (Is 53,7). Sarebbe interessante ricordare, tra parentesi, che nello stesso Dan 7 la visione ha poi subìto un pericoloso cambio di prospettiva in Dan 7,21s. Lì non c’è più il Figlio dell’uomo ma Israele! Siamo nell’epoca della lotta dei Maccabei e gli autori della modifica, ben coscienti che i Maccabei non sono il Messia, perché sono di stirpe sacerdotale e non di stirpe davidica, si domandano come andrà a finire la lotta contro Antioco Epifane e se vincerà Israele. Nell’Apocalisse, invece, non c’è confusione, l’agnello è il dominatore della storia e questa può dunque cominciare aprendo i sette sigilli (Ap 6).
Gv 21,1-19
Concluso il Vangelo primitivo in Gv 20,30s., si aggiungono gli ampliamenti (non solo qui dopo il cap. 20, ma anche prima). La pesca miracolosa c’è anche e solo, in Lc 5,1-11; lì completa il racconto sinottico delle prime chiamate degli apostoli (Mt 4,18-22 e Mc 1,16-20). Qui in Gv 21 viene presentata dopo la risurrezione e diventa l’occasione riparatrice delle tre negazioni di Pietro. Difficile spiegare il simbolismo dei 153 grossi pesci. La spiegazione della Bibbia di Gerusalemme è ancora quella tentata da S. Agostino! Accontentiamoci del significato dell’abbondanza della pesca nell’attività apostolica futura e auguriamocela anche noi, stanchi delle inutili fatiche, chiedendola a Gesù risorto, nella preghiera. Dopo l’annuncio della morte di Pietro ci sarebbe anche quello della sopravvivenza di Giovanni in 21,20-23, che ha vissuto sino alla fine del secolo, e una seconda conclusione, omesse entrambe nel brano. Poi continueremo ancora con Giovanni fino a Pentecoste, tornando indietro. Don Enzo Cortese

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