Commento alle Letture di Domenica 21 agosto 2022 a cura di don Enzo Cortese

Is 66,18b-21
E’ un brano dell’ultima pagina di Is: la visione universalistica finale, scelta dai liturgisti con troppo ottimismo
per aprirci al Vangelo di questa domenica. L’elenco dei popoli salvati è fondamentalmente preso da Gen
10,2, la tavola delle nazioni, o dei popoli, come titolano le nostre Bibbie; vi sono aggiunti Ros, Mesek e
Tubal, le regioni di Gog e Magog di Ez 38,2, che sono i nemici per eccellenza nella battaglia escatologica
finale. Come a dire che anche i nemici d’Israele saranno salvati. L’ottimismo dei liturgisti è quello dello
schema classico del rifiuto d’Israele che apre la strada ai popoli pagani. Paradossale ottimismo dell’AT, per
vincere il pessimismo del Vangelo di questa domenica! Un ottimismo un po’ discutibile, come vedremo
dopo.
Sal 116 (nella Bibbia 117)
E’ il più breve del Salterio: tutti i popoli sono invitati a lodare Dio e a far parte del suo regno misericordioso.
Il salmo è all’inizio del quinto e ultimo libro del Salterio e dell’Hallel pasquale, che gli Ebrei recitano ancora
nella cena pasquale e che la Chiesa faceva leggere ai vespri domenicali: prima in 5 salmi tutti assieme e ora
spezzettato e distribuito diversamente. L’ottica è sempre quella dell’ottimismo dello schema proposto dai
liturgisti.
Eb 12,5-7.11-13
Continua l’esortazione a sopportare le prove della vita iniziata nella seconda lettura delle ultime
domeniche, dove abbiamo considerato l’esempio dei Padri. Qui si aggiunge l’idea che le prove sono opera
di Dio nostro padre. Peccato che siano saltati i versetti intermedi, che la illustrano con l’esempio dei
castighi e della severità dei nostri genitori. Il tema sarebbe molto utile oggi, non solo di fronte alle comuni
prove attuali di siccità, guerre, incendi, pandemia e delle altre personali, ma anche di fronte a quelle
cosmiche, dovute all’inquinamento del creato, di cui si parla prossimamente nella giornata del 1°
Settembre, “per la salvaguardia del creato” e nel relativo messaggio della CEI.
Lc 13,22-30
Da domenica scorsa, il pensiero di Gesù nel viaggio verso Gerusalemme composto da Luca, diventa aspro e
direi nervoso. Purtroppo la lettura continuata del Vangelo di quest’anno “C” subisce qui parecchi tagli e
omissioni. E’ omesso Lc 12,54-59, un rimprovero sulla lettura dei “segni dei tempi” e la necessità della
urgente riconciliazione coi nemici. Manca tutto 13,1-21, pieno di polemiche, interrotte solo dalle due brevi
parabole sul regno di Dio (13,18-21), seguite dal brano odierno, dove, alla domanda se son pochi quelli che
si salvano (v.23), Gesù non risponde affatto con l’ottimismo che ci aspetteremmo secondo le precedenti
letture preparatorie. Mi sembra che il tono aspro del capitolo vada conservato e spiegato col dolore umano
di Gesù, che non è solo quello della paura per l’avvicinarsi della sua morte. Soffre anche per le conseguenze
inevitabili, che essa, e la nuova creazione ottenutane, causeranno; cose già viste domenica scorsa e là ben
preparate dalla “passione di Geremia” della prima lettura. Ricordiamo anche il successivo discorso sulla fine
di Gerusalemme (13,31-34), anch’esso inspiegabilmente tralasciato; non era certo fonte di gioia per Lui,
come castigo meritato dal rifiuto da Lui subìto. Invece se leggiamo integralmente Lc13, da leggersi in
ginocchio, capiremo meglio anche le sofferenze di Gesù. Lui è Dio e ci fa capire anche le sofferenze di Dio di
fronte al dolore dell’uomo e del creato e non solo il suo amore. Il mistero è difficile da capire ma non va
semplicisticamente trascurato con la bonaria idea dell’amore di Dio, interpretato col nostro superficiale
buonismo, che chiude scioccamente la bocca a questi allarmismi di Gesù e alle porte dell’inferno.

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