
At 15,1-2.22-29
S. Pietro aveva già deciso di predicare il Vangelo ai pagani; ai Romani di Cesarea, che non erano “proseliti” del Giudaismo. Ma i primi cristiani, che erano di matrice giudaica, pensavano ancora il contrario e volevano imporre le pratiche giudaiche (circoncisione, ecc..) ad Antiochia di Siria, divenuta ormai la base del cristianesimo dei Gentili, anche grazie all’opera di Paolo e Barnaba e del loro primo viaggio missionario. Bisognava prendere una decisione chiara per tutti. Per questo si fa il Concilio di Gerusalemme, dove si mantiene giustamente il rispetto per i cristiani-giudei (At 15,13-21). Però lì (15,20) e nel v.29 ricorre la parola “porneia”, tra le cose che devono essere invece proibite a tutti i cristiani, mentre altre devono essere ancora permesse ai Giudeocristiani, evitando scontri tra gli uni e gli altri. La parola greca viene tradotta diversamente, ma la pagina di 1 Cor 6,12-20 e tutto il cap. successivo ci autorizzano a tradurla “impudicizia”; una parola che introduce solennemente il rispetto morale nella vita di ogni tipo di cristiano, rispetto cui oggi non si bada molto e, magari, una volta si badava troppo.
Sal 66 (nella Bibbia 67)
Nel secondo gruppo dei salmi di Davide (da 50 a 70), ce ne sono alcuni (66s.) che non hanno quel titolo; da 65 a 68 sono definiti “canti” e, come tantissimi altri, sono destinati “al direttore (del coro?)”. A parte queste inspiegabili anomalie, il 66 si caratterizza per il suo universalismo: “..ti lodino i popoli tutti..”, che spiega la scelta della liturgia, in consonanza con l’universalismo del Concilio di Gerusalemme, della prima lettura.
Ap 21,10-14.22-23
Rimaniamo nel penultimo cap. dell’Ap., dopo il salto molto lungo già compiuto domenica scorsa, a contemplare ancora la Gerusalemme celeste, traguardo finale di tutte le lotte e le visioni descritte nel libro. Si chiudono qui le letture del nostro ciclo pasquale. Ce ne saranno altre domenica prossima, sull’Ascensione e poi la Pentecoste. Stupisce, in Ap 21, da una parte, lo sforzo di descrivere una società così perfetta e, dall’altra, l’affermazione che non vi sono più in essa le strutture sociali, politiche e religiose che la reggono, perché c’è Dio e l’agnello, che là è tutto! Non c’è più bisogno neanche del sole e della luna: Dio la illumina e l’agnello è la lampada. Ma la città c’è ancora, più splendida che mai; a indicare che vi rimarranno tutti i valori e le cose costruite da Dio, da Gesù e dall’umanità redenta. Solo gli angeli che vi volano sopra ci possono spiegare questo traguardo finale!
Gv 14,23-29
Solo a partire da 14,15 Gesù ha introdotto nel contesto dell’amore di Dio e di Gesù per noi il tema dell’amore nostro per Lui “..se mi amate..”. Questo nostro amore è ripreso nel v. 23, affermando che la prova di esso è l’osservanza delle Sue parole. In risposta all’intervento di Giuda-Taddeo (figlio di Giacomo: si veda Lc 6,16) Gesù afferma una presenza intima, Sua e del Padre, se lo amiamo. Ma torna subito al discorso della presenza del Paraclito, già menzionato prima (v. 16: Lui sarà sempre con noi), assicurando che ci insegnerà e ricorderà tutto. La parola greca, spiegata con l’equivalente “Spirito Santo” (v.26), viene dal verbo “kaleo” (chiamare – vicino) che è letteralmente tradotto nel latino “ad-vocatus”, da cui il nostro “avvocato”, divenuto spesso sinonimo dello Spirito, nelle nostre traduzioni (oppure “Consolatore”). Resta però sempre, come nome proprio, “Spirito”, che viene dall’AT, dove ancora non si sapeva della Trinità, rivelata da Gesù. Il nome indica: vento, soffio, aria. Privati della presenza materiale di Gesù, d’ora in poi la Chiesa ne avrà un’altra tangibile; gli Atti e le lettere del NT Lo nomineranno ad ogni piè sospinto. Infine la pace donata e il commiato “..vi lascio la pace vi do la mia pace..” concludono la prima stesura del discorso, successivamente completato, come indicano le ultime parole di 14,31, già ricordate precedentemente. Don Enzo Cortese