
Domenica 15 maggio
At 14,21b-27
Abbiamo lasciato Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia, al centro della Turchia, nel momento in cui si staccano dal Giudaismo. Tornano indietro, Inseguiti e perseguitati. Nell’ambiente pagano devono addirittura respingere i primi intrallazzi col potere civile e gli entusiasmi suscitati dopo un miracolo: li eleggono dei e patroni (14,8-18). L’intervento dei Giudei, comunque, ristabilisce gli equilibri e provoca addirittura la lapidazione di Paolo (14,19s.). Proseguono il cammino del ritorno esortando le prime comunità cristiane, da loro create. Non dobbiamo dimenticare 14,23: lì nascono le prime chiese cristiane e la loro organizzazione. Differente da quella di Gerusalemme, non solo perché esse non sono per nulla “giudeo-cristiane”, ma perché non seguono lo schema con cui quella aveva imprudentemente cominciato: continuare come i dodici nell’amministrazione, che là, ormai, era divenuta ingestibile, data la crescita di migliaia di credenti gerosolimitani. Alla inevitabile crisi provvederanno appunto le nuove chiese cristiane, mentre quella di Gerusalemme procederà col primo Concilio a staccarsi anche lei dal Giudaismo.
Sal 144 (nella Bibbia 145)
E’ l’ultimo del 3° gruppo dei salmi “di Davide”, è una “Lode” e anche l’ultimo alfabetico e uno dei più tardivi. Restano poi solo gli ultimi “allelujatici” (146-150). Il salmo 145 ha un’importanza particolare nella tradizione ebraica, perché fa parte delle preghiere quotidiane di ogni fedele ebreo. La struttura che si intravede è costituita da un gruppo di titoli divini alla terza persona (Dio è…) cui fa eco la preghiera diretta (Tu o Dio…), con la quale si comincia (vv.1s.)
Ap 21,1-5a
Nella passeggiata pasquale sull’Apocalisse saltiamo già alla fine, dal cap. 7 di domenica scorsa. Si contempla il traguardo finale, dopo tante tappe drammatiche: la nuova Gerusalemme, come una sposa adorna per il suo sposo. Ma la prima lettura ci spinge a contemplare, in tutto il percorso, tanti momenti anche dolorosi e problematici della storia della Chiesa, che viviamo e vediamo ancora oggi, specialmente nella guerra in Ucraina. Le forze del male non sono ancora sconfitte. Dopo le lotte di Giovanni Paolo II, che ha subìto l’attentato nel 1981, e dopo il crollo dell’ateismo russo, ateismo obbligatorio, c’era da aspettarsi un progresso cristiano della Chiesa nel mondo. Invece il mondo s’è allontanato dalla Chiesa, con un ateismo libertario e quella russa ortodossa s’è ripresa appoggiandosi al regime, divenuto religioso, da ateo che era. Hanno creato una loro ideologia e sostengono di essere la salvezza di fronte alla corruzione dell’umanità e della Chiesa stessa, cedevole anche lei di fronte all’omosessualità. Così assistiamo a tante violenze e uccisioni, commesse in omaggio a un Dio manipolato. Di intrallazzi col potere politico nella storia della Chiesa ce ne son stati tanti. Fanno comodo all’uno e all’altra, perché il potere piace ad entrambi e ci si dimentica che “il regno di Dio e di Gesù non è di questo mondo”. Ma qui siamo di fronte a un fatale connubio; sembra proprio di toccare con mano la potenza del diavolo, che stravolge il cammino del popolo di Dio quando meno te lo aspetti.
Gv 13, 31-33a.34-35
Siamo ormai nella prospettiva della Pentecoste (5 Giugno) e la liturgia ci porta ai discorsi dell’ultima cena di Gv 13-17, ben 5 capitoli, nei quali Gesù ci parlerà del Suo Spirito. La ammirevole serenità e affettuosità che rivela questo lunghissimo discorso si spiega solo con la Sua divinità. Un uomo, che subito dopo suderà sangue per la paura (Lc 22,44), non sarebbe capace di tanto. L’affetto si manifesta pienamente appena Egli ha parlato del tradimento e Giuda se n’è andato. Addirittura sembra felice al pensiero della prossima glorificazione (13,32). L’affetto per i commensali si manifesta col vezzeggiativo “teknìa”=figlioletti (13,33), solo qui nel vangelo di Gv; non usa il normale “uios” e neanche l’affettuoso “tekna”. Qui viene arbitrariamente lasciata gran parte della frase (33b), già detta ai suoi nemici (7,34 e 8,21), ma non con questo affetto. E’ il momento di spingere gli uditori anche loro al massimo dell’amore vicendevole (13,34), chiamato comandamento “nuovo” perché in nessun altro luogo o momento ne abbiamo una formulazione tanto appropriata. Ne abbiamo un’altra poco dopo (15,12), ma senza la precisazione che questo sarà il riconoscimento dei veri discepoli (13,35). La formulazione successiva sembra dovuta a una nuova redazione, che pare cominciare in 15,1: appena prima, infatti, in 14,31 Gesù dice: “Levatevi e partiamo”. E invece il discorso continua. Effettivamente nessun altro discorso di Gesù in Gv. è tanto lungo. Occupa inoltre troppo spazio se si tratta dell’ultima cena, dopo la quale ci sono ancora tante cose da fare. Gv. rivela la preoccupazione di fargli dire qui tante cose importanti e necessarie, in un ultimo discorso-testamento; quelle non dette prima e magari quelle dette in Galilea, dopo la risurrezione. Don Enzo Cortese