
Gen 15,5-12.17-18
La chiesa ci propone il secondo episodio delle promesse ad Abramo, parallelo a quello, più antico, di Gen 12s., attribuito al Documento J (Jahwista), dove si narra l’apparizione dei tre misteriosi personaggi e poi la fine di Sodoma. Il nostro episodio dovrebbe essere E (l’Elohista), il racconto parallelo di origini settentrionali, anche se vi compare spesso “JHWH”. Sicchè gli autori seguono l’una o l’altra opinione, oppure prendono lo spunto da queste confusioni per dichiarare fallita la teoria dei documenti J-E-P-D del Pentateuco. Secondo questa teoria, il racconto E (come anche il “Sacerdotale” o P) non dovrebbe usare “JHWH” prima della rivelazione di questo nome a Mosè, in Es 3. Forse però, in una terza tappa della formazione del Pent., chi ha voluto incorporare questa preziosa pagina settentrionale non aveva questo problema, perché il suo antico J fin dall’inizio usa sempre “JHWH”. Il nostro racconto è più semplice. Ha solo il dialogo di Abramo con Dio, che l’invita a guardare le stelle; non la polvere della terra, come in Gen 13,16. Poi c’è la promessa, dopo un lamento di Abramo senza figlio. Si conclude con il rito del loro passaggio in mezzo alle vittime e le predizioni future della storia d’Israele. Questa pagina è cara a S. Paolo, perché mostra che Abramo è “giustificato” ben prima delle opere della legge, che arriva dopo, con Mosè. Così si continua il discorso della vera fede, iniziato nella precedente domenica, e quello della meditazione e preghiera sulla storia d’Israele e sulla nostra.
Sal 27 (26 nel Lezionario)
Se non si tratta di due preghiere originariamente distinte, abbiamo due belle tappe: nella prima il desiderio di sostare nella casa di Dio, al riparo dai pericoli, e nella seconda di contemplare il volto di Dio, che non ci abbandona nella solitudine. Preghiera che facciamo nostra in questa dolorosa Quaresima, pensando all’Ucraina e alla siccità delle nostre terre.
Fil 3,17-4,1
Vale la pena ricordare che nella V domenica (3 Aprile) incontreremo di nuovo questa pagina, un po’ prima (3,8-14). Nell’insieme Paolo ci insegna ad immedesimarci con Gesù, partecipando alla sua morte (“facendomi conforme alla sua morte:3,11), per essere “trasfigurati” (3,21) nella sua risurrezione. Le due parti della pagina sono capovolte perché di questa trasfigurazione si parlerà ora, nel vangelo. Paolo si propone come modello, contrapponendosi a quelli che preferiscono concentrarsi sulla legge giudaica, compresi i cristiani giudaizzanti. Anche la santa Madre Chiesa lo ha sempre raccomandato, specialmente in Quaresima: nella Via Crucis d’una volta si cantava alla Madonna: “Santa Madre deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore” e si recitava ad ogni stazione qualche strofa dello Stabat Mater, canto medievale, forse di Jacopone da Todi. Una di quelle, rimaste fuori, diceva “Fac ut portem Christi mortem, passionis fac consortem…”.
Lc 9,28b-36
Otto giorni dopo la prima predizione della sua morte e risurrezione (così in 9, 28a), Gesù sale sul monte a pregare con i tre apostoli prediletti. Nella preghiera si trasfigura, anticipando il traguardo. Scopriamo il tema della preghiera dalla presenza di Mosè ed Elia: medita cioè sul Pentateuco e sui Profeti, che parlavano con Lui del suo esodo imminente (9,31). Infatti, terminato l’episodio, comincia subito il viaggio per Gerusalemme e per la sua morte, che gli specialisti chiamano “viaggio lucano” per la caratteristica ripetizione intercalata spesso nell’ampia sezione, che va fino alla storia della passione. In essa Luca inserisce gran parte del suo proprio materiale. Ricordiamo che Dio ci raccomanda di ascoltare Gesù (9,35) e che nel messaggio di Elia e dei profeti ci sono anche i 4 oracoli del messia sofferente, dove i due ultimi (Is 50 e 53) ne descrivono la passione e la morte. Naturalmente i tre apostoli non capiscono ancora. Don Enzo Cortese