
https://www.pastoralesaluteacqui.it/
MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA XXXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO (11 febbraio 2024)
Curare il malato curando le relazioni
«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.
Penso ad esempio a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie.
Allo stesso tempo, partecipo con dolore alla condizione di sofferenza e di solitudine di quanti, a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, si trovano senza sostegno e senza assistenza: la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.
Occorre tuttavia sottolineare che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18). Questa logica pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.
Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita.
Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.
Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.
A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.
In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.
Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.
Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024
FFRANCESCO
**(***********
Il messaggio del Vescovo Mons. Luigi Testore
La prossima domenica, anche in ricordo delle apparizioni di Lourdes, verrà celebrata la giornata mondiale del malato e vorrei quindi condividere con voi alcune indicazioni contenute nel messaggio del Papa.
Il Santo Padre cita la Sacra Scrittura: “Non è giusto che l’uomo sia solo” (Cfr. Gn 2,18), tramite la quale si può intravvedere la volontà di Dio fin dall’inizio, quella di darci la capacità di amare e comunicare. Lo sviluppo di questa capacità è possibile grazie alle relazioni interpersonali che instauriamo nel percorso della nostra vita, ma purtroppo ci si trova con un grande limite quando non possiamo interagire con gli altri a causa di una grave malattia. In quel caso si sperimenta una sorta di abbandono, chiusura in se stessi e spavento per questa nuova situazione che è estranea alla nostra natura originale.
Nella storia recente abbiamo potuto vedere, ad esempio nell’ultima pandemia di Covid 19, quanti dei nostri fratelli e sorelle sono dovuti morire non accompagnati e alcuni ricordano ancora la solitudine vissuta negli ospedali e nelle case di cura. Ultimamente ci appare evidente questa realtà nei paesi che sono sotto il flagello della guerra, dove si vive una situazione di profondo abbandono soprattutto nell’ambito socio-sanitario. Va detto però che nei paesi in cui regna la pace c’è spesso una cultura dell’individualismo che colpisce le persone più vulnerabili, le quali rischiano di essere escluse dalla società perché ritenute non utili.
Abbiamo invece bisogno di una assistenza ai malati che sia un atto d’amore. Occorre che la persona sofferente possa relazionarsi con Dio, con se stessa, con la famiglia e con gli amici, anche con gli operatori sanitari, per promuovere un processo di cura integrale. In questo senso ci aiuta la riflessione su Gesù come Buon Samaritano (cfr. Lc 10, 25-37). Lui di fa prossimo e lenisce con tenerezza le ferite dei suoi fratelli e sorelle malati.
La capacità di vivere in comunione con Dio, con i fratelli e sorelle, e con il creato è una dimensione che dobbiamo sviluppare soprattutto quando ci troviamo in una situazione di malattia, cercando di curare anche le ferite lasciate dal peccato, che ci impedisce di vedere la realtà alla luce della novità evangelica. Il rimedio è quello di diventare veri artigiani della vicinanza e della relazione fraterna.
Queste riflessioni di Papa Francesco aiutino anche noi a scoprire con più chiarezza e gioia il nostro compito di cristiani di fronte alla malattia.
+ Luigi